Dalla teoria alla pratica, l’illuminante ricetta di Lulie Halstead: ecco le chiavi del marketing del vino
Per costruire un marchio rilevante è fondamentale passare dalla visione del brand a quella del consumatore.
Lulie Halstead ci spiega come.
Di Emanuele Fiorio
Lulie Halstead è una figura di assoluto rilievo nel panorama del marketing e della comunicazione del vino (e non solo) a livello internazionale, una pensatrice brillante in grado, con le sue analisi e indicazioni pratiche, di influenzare concretamente il settore.
Direttore non esecutivo (NED) del consiglio di amministrazione di IWSR Drinks Market Analysis, cofondatrice di Wine Intelligence (acquisita nel 2021 da IWSR) e affermata accademica si è specializzata, attraverso analisi e ricerche, nell’esplorazione dei fattori e degli elementi che determinano i comportamenti di acquisto dei consumatori, con l’obiettivo di scoprire i processi della mente subconscia.
Una protagonista di questo calibro non poteva mancare nel progetto “Amorim Wine Vision”, Halstead ha condiviso brillanti riflessioni e soprattutto metodologie concrete utilissime per trasformare nozioni e teorie in pratiche tangibili sul campo. Un aspetto sempre più raro e prezioso per il settore vitivinicolo.
In un tuo recente articolo, hai parlato dell’importanza di comprendere a fondo i consumatori di vino. Troppo spesso i professionisti del marketing e della comunicazione tendono a far emergere le loro opinioni anziché ascoltare veramente i bisogni e i desideri dei consumatori reali. Qual è la tua visione in merito e quali possono essere le chiavi del cambiamento?
È una domanda di apertura molto interessante, come esseri umani la nostra tendenza è quella di leggere il mondo attraverso la nostra visione e le nostre esperienze: ciò che sappiamo ed è presente nella nostra memoria.
Il ruolo del marketing è vedere il mondo attraverso gli occhi dei nostri consumatori, non attraverso i nostri occhi e questa non è una sfida facile.
Ciò che dobbiamo fare è lasciare i nostri pregiudizi fuori dalla porta e percepire davvero ciò che sentono i nostri consumatori. Per me, la chiave è ascoltarli costantemente, osservarli ed avere una mentalità aperta, tenendo presente che le ricerche su larga scala sui consumatori sono costose e noi, come operatori del mercato del vino, spesso dobbiamo trovare modalità alternative.
Quali potrebbero essere i miei consigli? Personalmente, continuerei a sostenere e investire in ricerche serie e valide; in aggiunta a ciò, ci sono diversi modi in cui anche un singolo addetto marketing di un’azienda vinicola può raccogliere elementi utili, approfondirli e porsi in ascolto verso i consumatori.
Alcuni suggerimenti per gli addetti, gli imprenditori e le aziende vitivinicole possono essere:
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Dedica del tempo alla lettura di ricerche e alla sintesi di opinioni dei consumatori da una serie di fonti. Ad esempio, consiglierei di produrre report aggiornati sulle tendenze dei consumatori da utilizzare internamente in azienda, ciò ti costringe ad avere continuità e disciplina nel verificare cosa sta avvenendo sul mercato.
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Se hai agenti o membri del tuo team dislocati in diverse parti del mondo, un altro modo per fare ricerca sarebbe chiedere a ciascuno di loro di visitare tre bar, tre diversi tipi di negozi e tre ristoranti e riferire ciò che effettivamente osservano. Si tratta di un ottimo modo per costruire una visione d’insieme e anche per coinvolgere il vostro team e i vostri partner.
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Ogni volta che sono in un bar, ristorante, negozio, locale o anche in aereo (forse per questo la gente pensa che sono un po’ matta) parlo con le persone, dico loro “Ehi, è interessante che tu l’abbia appena ordinato! Cosa ne pensi di questo prodotto?”. In questo modo puoi raccogliere informazioni sui consumatori reali semplicemente interagendo con le persone che incontri lungo il percorso e osservando cosa consuma la gente comune. Se non puoi permetterti di fare costose ricerche, parla con la persona seduta accanto a te al bar! Dialoga con lo store manager di un’enoteca: cosa ordinano le persone oggi? Quali vini performano bene? Quali vini non stanno andando bene e perché pensi che sia così?
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Usa i tuoi amici e la tua rete: riunisci un gruppo di amici e invitali a casa tua o in un bar. Invita cinque persone e dì loro “Ti offro da bere se parli con me per un’ora”. Ascolta quello che stanno dicendo.
Esistono tanti modi concreti per ottenere informazioni di prima mano da consumatori reali, per allontanarsi dalla propria visione puramente personale.
Vorrei approfondire ciò che tu definisci “creazione di valore” o “delivering value” nel mercato del vino, secondo cui l’obiettivo di una strategia di marketing e comunicazione non è semplicemente aumentare le vendite o la quota di mercato. Ci puoi spiegare questo concetto?
Per me, il risultato della creazione di valore è l’aumento di profitto, della quota di mercato e delle vendite. Ma per arrivare a questo risultato, la strategia di marketing deve essere supportata dalla ricerca per comprendere cosa vogliono effettivamente i consumatori e per cosa sono disposti a pagare.
Se consideriamo l’opinione diffusa secondo cui marketing e comunicazione sono un mix di azioni a lungo e breve termine, vedremo che il valore deriva dalla promozione del valore del marchio a lungo termine con l’attivazione delle vendite a breve termine; il valore viene da entrambe le parti. La strategia per arrivare al risultato (profitto, quota di mercato e vendite) tiene conto di questi diversi elementi.
La tua definizione preferita attuale di marketing recita: “Il marketing è il processo di gestione responsabile dell’identificazione, dell’anticipazione e della soddisfazione dei bisogni dei consumatori in modo redditizio”. Come si traduce questa definizione in pratiche e misure concrete?
Scomponiamo questa definizione in tre parti.
La prima parte della definizione parla del processo di gestione, si tratta chiaramente di marketing (il cuore di un’azienda vinicola, se non addirittura di qualsiasi azienda o organizzazione). In definitiva, il marketing consiste nel collegare i prodotti giusti ai consumatori giusti al prezzo giusto, in modo che siano disposti a pagarne il prezzo.
La parte successiva della definizione si concentra sui “bisogni dei consumatori”: se i consumatori non vogliono o non apprezzano i nostri prodotti, non c’è nessun business. Ecco perché è così importante capire cosa apprezzano i consumatori. Come sappiamo, nel settore vitivinicolo, dato che coltivare l’uva e produrre vino ogni anno è faticoso, inevitabilmente tendiamo a mettere in luce quella parte delle nostre attività; ciò significa che dobbiamo avere un consumatore che comprende e apprezza ciò che stiamo facendo per consentire alle nostre attività di essere redditizie. Infine, interpreto il termine “redditizio” non solo come la possibilità di rendere finanziariamente redditizia la nostra attività, ma anche di dotarla di stabilità a lungo termine e di valore ESG (ambientale, sociale e di governance). Ecco perché mi piace così tanto questa definizione: perché comprende queste tre aree.
In alcuni mercati chiave, tra cui il Regno Unito, la percentuale di consumatori regolari di vino over-65 è in aumento, mentre quella dei giovani tra i 18 ed i 34 anni è in forte calo. Come è possibile trovare strategie comunicative efficaci ed equilibrate in questo contesto per certi versi paradossale?
Dal punto di vista dell’età, la popolazione dei consumatori di vino nella maggior parte dei mercati vinicoli maturi e consolidati segue in un certo senso la popolazione in generale. Se, ad esempio, abbiamo (come nel Regno Unito e in molti altri Paesi) una popolazione che invecchia demograficamente, non ci sorprenderà che la popolazione che beve vino segua questo dato. Allo stesso tempo, oltre all’invecchiamento della popolazione, stiamo proporzionalmente registrando un minor numero di consumatori giovani in età legale per bere che si avvicinano al vino. Questo purtroppo è un dato di fatto.
Penso che guarderei la questione in un modo leggermente diverso, in realtà non tutte le persone tra i 20 ed i 40 anni sono uguali tra loro, penso che nel marketing a volte ci concentriamo troppo sull’età anagrafica come elemento di differenziazione. Anche se l’età gioca sicuramente qualche ruolo nel definire il nostro rapporto con il vino, non è l’unico fattore che influenza la nostra percezione. Alcuni venticinquenni potrebbero essere fortemente coinvolti nel mondo del vino, visitare cantine ed essere disposti a pagare prezzi premium, mentre altri che assomigliano a loro in termini di età, reddito e provenienza potrebbero non aver mai assaggiato vino. Penso che generalizziamo eccessivamente parlando di età, in realtà ciò che dovremmo cercare nel nostro lavoro di “targeting” sono atteggiamenti e comportamenti simili.
Quindi il punto è: come comunichiamo messaggi rilevanti legati ad atteggiamenti e comportamenti invece di pensare semplicemente “devo rivolgermi ai 25enni o i 65enni?”. Ciò che scopriremo è che il modo in cui raggiungiamo queste persone potrebbe essere diverso. Per me, questa è la scelta strategica del canale con cui comunicare. Ad esempio, il nostro 25enne potrebbe trascorrere più tempo su Instagram e TikTok rispetto al nostro 65enne, e il nostro 65enne potrebbe trascorrere più tempo su Facebook, leggere più giornali e guardare più TV rispetto al nostro 25enne; ci sono diversi modi per trovarli, ma il messaggio per entrambi sarebbe lo stesso. Questa è la differenza fondamentale: pensare a cosa unisce le persone, a perché ha un valore e poi, alla fine, selezionare il canale per raggiungere quelle persone.
Questa situazione è legata alla moderazione e alla conseguente crescita dei vini no-low alcohol nei maggiori mercati consolidati. Tuttavia i vini no-low non soddisfano ancora un pubblico allargato, soprattutto per quanto riguarda i profili gustativi. Quali sono le tue previsioni per questo segmento?
Come sappiamo bene, ci sono stati molti investimenti nel settore no-low wines, in particolare in Australia, un Paese pioniere in questo senso. Sappiamo che sia la qualità che il profilo gustativo dei vini no-low stanno migliorando, tuttavia per i consumatori esistono alternative che sembrano più divertenti e accessibili, più rinfrescanti, più eccitanti, spesso più instagrammabili del vino. Il vino no-low non è sicuramente la prima cosa che viene in mente ad un consumatore.
Ritengo che le opportunità dei vini no-low non siano così forti come forse vorremmo che fossero. La mia opinione personale basata sull’osservazione e sui dati è che le opportunità migliori le hanno i vini con una gradazione alcolica attorno al 7-9% piuttosto che con un contenuto molto inferiore, in particolare per quanto riguarda il profilo gustativo, anche se in molti mercati questi vini non garantiscono i vantaggi legati alle agevolazioni fiscali.
Anche i vini che possono essere prodotti naturalmente con livelli alcolici più bassi hanno maggiori opportunità di successo, i consumatori percepiscono che sono ottimi vini ed hanno il vantaggio aggiuntivo di essere un po’ più leggeri anziché essere posizionati esclusivamente come un prodotto no-low.
Secondo me, in termini di tipologia di prodotti, l’opportunità chiave per il vino no-low riguarda gli spumanti: sono più bevibili e ci sono più occasioni di consumo per gli spumanti che per i vini fermi.
Il fenomeno della premiumisation è più evidente nel settore degli spumanti e dei vini biologici, naturali e sostenibili. Questa ricerca del “less but better” si riallaccia anche alla sostenibilità e alla moderazione. Secondo te la comunicazione del vino sta sfruttando adeguatamente queste leve per attrarre i giovani verso la categoria?
Lo spumante è diventato più disponibile sia mentalmente che fisicamente per un’ampia fascia della popolazione, compresi i consumatori più giovani.
Continua a rappresentare celebrazioni, socialità e divertimento, questi sono i fattori e le occasioni chiave in cui ci piace consumare alcol. Per quanto riguarda i vini sostenibili e naturali, il vantaggio comunicativo è legato al fatto che si adattano maggiormente alle priorità dei consumatori più giovani che sono maggiormente guidati da ESG e sostenibilità. Lo svantaggio di comunicare la sostenibilità è che stiamo aggiungendo un altro livello di complessità in una categoria già di per sé molto complessa. In sostanza chiediamo ai consumatori di entrare nel cosiddetto “sistema 2” del cervello (dove compiamo elaborazioni profonde e impieghiamo un sacco di energie) piuttosto che nel “sistema 1” del cervello (processi istantanei che non richiedono molto tempo e sforzi). Dato che l’industria vitivinicola fornisce informazioni complesse, ciò che spesso facciamo noi operatori è aspettarci che i nostri consumatori utilizzino il loro “sistema 2” per selezionare il vino, quando invece la maggior parte di noi desidera trascorrere quanto più tempo possibile nel “sistema 1”, prendendo decisioni rapide e facili che soddisfino subito le nostre esigenze. Tornando al vino sostenibile o naturale, i dati mostrano che meno del 10% dei consumatori abituali di vino in qualsiasi mercato desidera passare al “sistema 2”; ciò significa che chiediamo ai consumatori di fare qualcosa di più complesso rispetto a quanto siano disposti realmente a fare.
In base al tuo osservatorio, quali sono le maggiori sfide che il settore del vino ha di fronte nel prossimo triennio e quali sono i temi chiave su cui la comunicazione del vino dovrà concentrarsi?
Penso che le sfide maggiori continueranno ad essere il margine e la redditività; l’argomento è diventato ancora più difficile negli ultimi due anni e continuerà ad esserlo.
Altri temi spinosi sono sicuramente la regolamentazione governativa e la tassazione sull’alcol in generale; come sappiamo, il vino non è certo immune a questa pressione esterna fuori dal nostro controllo.
Dal punto di vista del consumo, penso che la sfida chiave sarà la concorrenza di un ventaglio più ampio di ulteriori bevande alcoliche e analcoliche. Quello che sappiamo è che i consumatori selezionano da una gamma sempre più ampia di opzioni: le persone provano molte cose diverse, entrando ed uscendo da diverse categorie, il che è in parte ciò che sta guidando la riduzione del consumo di vino. In parole semplici, ai consumatori piace ancora il vino, ma anche molte altre bevande.
L’ultimo ostacolo è, sorprendentemente, la mancanza di connessione tra il vino ed i locali: questo aspetto sembra controintuitivo perché solitamente nei ristoranti il vino è la bevanda preferita durante i pasti. Ritengo che i consumatori si stiano adattando sempre più a pranzi informali e a un modo molto diverso di mangiare fuori, in questo contesto il vino è diventato meno rilevante, meno coinvolgente, meno eccitante, meno incentivato dai baristi (è più coinvolgente farsi versare un bicchiere di vino o farsi preparare un bel drink da un barista?).
Su cosa dovrebbe concentrarsi allora la comunicazione del vino? Se possedessi un marchio di vino, ecco come mi muoverei:
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Capirei chi sono i miei consumatori target, cosa apprezzano davvero, perché e cosa continueranno ad apprezzare nel tempo.
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Costruirei il mio marchio di vino attorno a una posizione chiave centrale e semplice che abbia rilevanza per quelle persone. Non cercherei di essere tutto per tutti, vorrei assicurarmi di essere qualcosa per qualcuno. A proposito: “I nostri processi di produzione sono i migliori e i nostri prodotti hanno un sapore davvero buono” non rientrano in questo schema. Questo non è un buon posizionamento, perché praticamente qualsiasi vino al mondo ha un buon sapore al giorno d’oggi.
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Vorrei costruire un brand distintivo e visivamente memorabile: si tratta di diventare mentalmente disponibili per i consumatori.
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Mi concentrerei su dove si trovano i miei consumatori quando acquistano e consumano vino e mi assicurerei di posizionarmi in quei luoghi e contesti. In sostanza si tratta della disponibilità fisica del prodotto.
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Quali canali di comunicazione utilizzare sarebbe l’ultima decisione che prenderei, sicuramente non la prima.